In varie vicende affaccendato,
ho lasciato presto il mio Paese.
Mi sia concesso allor di ricordarlo con amor, senza pretese.
Ho messo su famiglia, son nonno e pensionato,
ma nel riveder amici e luoghi cari, son sempre emozionato.
Son tornato spesso a Leffe, e ci torno sempre volentieri,
mi sovvengon bei ricordi, mi sembra giusto ieri!
L’arrivo delle attese campane nuove mi colse bambino,
echeggiaron per il paese e per tutta la Valgandino:
fu un gran giorno di gioia per la popolazione, tutta quanta,
quel Venerdì otto dicembre del millenovecentocinquanta!
Si festeggiò con benedizioni, canti, torte e qualche panino
e mi ricordo sì … scorse a fiumi del buon vino.
Da una piccola finestra di casa mia
mi affacciavo spesso, e non certo come spia,
ad osservare la piazza del mio paese amato:
vedevo la Chiesa, il campanile, il Sagrato,
‘l palàss de la s-ciùra Lisa, il monumento
e guardavo tutto con gran compiacimento.
Da Petràl, dal Bargiègia o da Gusto
trovavi sempre qualcosa di tuo gusto:
una scarpa, una borsa o una cintura
di qualità ottima e vendute con rara bravura.
Da Lilì trovavi tutto per la casa: tovaglie,
tela cerata, vasi e lana per tesser delle maglie.
Dalle botteghe nostrane di Orsola, Stöpì,
Ströcì e dei Padelì
usciva un profumo accattivante di “salsicce e codeghì,
di baccalà, bertagnì, caramelle e cioccolato”,
roba da veri signori, con fine palato.
Dal Padèla e dai Polì, in macelleria, c’era carne di qualità:
pollo, vitello, maiale e trippa in quantità.
Dal Latė(Castelli) c’era un gelato prelibato,
famoso ormai in valle per il suo gusto raffinato.
Da Privo, Mènech, dal Pallèta e Natalina,
gustose “veneziane” e croccante pane la mattina:
eran “forni” dai profumi ormai remoti,
panifici dei tempi andati e dai sapori ormai ignoti!
Da la s-ciura Tògna, in merceria,
aghi, bottoni, filo e lana come in sartoria.
Da la Tremolina: pennini, matite, gomme,
quaderni e penne per tirar le somme.
Da Pierino e Gioandròch, i mugnai, ottima farina,
nostrana di sicuro e alquanto genuina.
Il signor Bosio, orologiaio di precisione,
vendeva oro, argento e riparava tutto con gran passione.
Il fotografo Zilio, sempre disponibile e cortese,
immortalava le cerimonie del paese:
ritraeva tutti, in varie “pose”,
soprattutto ai Matrimoni, le belle “Spose”.
Da Bosio (Podèt) si compravan “utensili e ferramenta”:
martelli, cacciaviti, chiodi e paioli per la polenta.
In Piazza della Vittoria, partite strepitose col balù…
fra vincenti o perdenti “a l’ gh’ ìa sèmper di resù”,
ma al termine, che la partita fosse persa o fosse vinta,
si finiva sempre con un bicchier di vino da Gige Pinta.
Si sentivan canti di festa alla trattoria del Padèla,
c’era una “Sposa” e tutti gridavan: “che bèla che bèla”!
Da Aristide si giocava a carte o a bocce, col bicchiere in mano,
dall’alba al tramonto si beveva… ma il vino era nostrano.
Al Ristorante Cinto entravan solo i sciòre
accompagnati da splendide signore… castane, bionde e more.
Un po’ alticcio, ma innocuo e buono, usciva dall’osteria Tranì
cantando la consueta “Vino vinello”, Gioàn ol Magrì.
Da Gige Pinta si sentiva sempre cantare o gridare
per un marito poco sobrio
che la moglie era venuta a prelevare.
Al Dopolavoro da Silvestro, si sentiva spesso vociare:
qualcuno aveva perso a carte e doveva pagare.
Al Cinema dell’Acli proiettavan film di gusto fino
“Quo Vadis, Ben Hur e Marcellino pane e vino”.
La Festa più allegra e più imprevedibile
arrivava a “Carnevale”,
quando ad esibirsi era gente semplice ma originale:
“e Coertì”, con l’indimenticabile trenino Ki.Ki.Bù
e altri personaggi eccentrici ma di rare virtù.
C’era Maria, una pettegola impenitente,
che da dietro le colonne sbirciava le mosse della gente,
c’era Giomma, il fruttivendolo, che a squarciagola gridava:
“nespole, mandarini, boröle, noci e… un po’ di fava”.
Al negozio all’angolo, da Maria m’ mėa si trovava di tutto:
occorrente per il Presepio, giocattoli, “bisa besi e …basì” soprattutto!
Bambini ad ogni angolo che si tiravan palle di neve
o facevano a gara per plasmare il miglior pupazzo di neve.
La s-ciùra Gina che, impettita ed elegante,
col suo cappellino alquanto stravagante,
zigzagava brontolando con le mani a mo’ di ventaglio,
per evitare di essere dei bambini un bel bersaglio.
Dalla scaletta San Martino, innevata e ripida, ohibò,
con la cartella di cartone sotto il “popò”,
i bambini usciti da scuola, gareggiavano in libere discese
in barba al signor Zani, vigile del paese.
Coppi, il tuttofare comunale, spalava la neve di qua e di là
a mezze maniche, impettito ed orgoglioso
pareva dire: eccomi qua!
C’era Felìs, il sagrestano, che ramazzando il sagrato
biascicava qualche improperio salato,
e non propriamente cristiano,
alla vista di qualche “scherzetto nostrano”,
e Don Davide, il Prevosto, di rimando: “Signùr Signùr
almėno tė… sta col Signùr”
Il giorno della “Madonnina” addolorata,
da tutti i Leffesi venerata e pregata
con “rosari, Sante Messe e novene”,
per essere protetti e alleviati da varie “pene”,
culminava con la solenne Processione
e con il famoso “Stabat Mater”,
cantato ad arte e con devozione.
Quando però il Santo Natale era imminente,
notavo più sorrisi e più saluti fra la gente:
era tutto un correre per gli ultimi acquisti
e per le compere di certi articoli mai visti,
negozianti che declamavan le novità,
di merci rare di sicura qualità.
Baghècc e banda comunale suonavan celesti melodie,
creando un’atmosfera magica d’oriente per le vie.
L’apice liturgico, e più spirituale,
era la funzione della Santa Messa di Natale.
Tutti raccolti e uniti nella Mezzanotte Santa,
ove echeggiava del compositor Pezzoli : la “Pastorale Santa”.
C’eran poche luci allora, e poche luminarie,
ma presepi stupendi ovunque e persone più bonarie.
Tanta amicizia vera, e tanta gente laboriosa.
C’era sì più miseria, ma miseria dignitosa.
Più sincera solidarietà
anche se in umil povertà!
C’era tanta speranza per il futuro prossimo
e molto più amore verso il prossimo!
Romano Bertasa